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Immagine del redattoreMatteo Marchi

Ragnarok


Si guardò intorno, erano giorni che si trovava nella foresta.

Era andato a cercare Fanfhirn, il lupo scappato il mese passato durante la prima tormenta. Per il viaggio sua sorella Threya gli aveva preparato un borsello in pelle scamosciata che lui portava fiero alla cintola. La neve pesante sferzava il suo viso freddo, la sua mente vacillò non poco dopo l’ultima folata di vento e non riuscì a fare a meno di pensare che forse, al suo villaggio e alla grande casa dei suoi padri non sarebbe potuto tornare. Il volto di sua madre aveva oramai avuto il tempo di sparigli dalla mente, dieci o forse più inverni prima li aveva lasciati, richiamata in cielo dagli dei. Suo padre Orth e Wittan, sua zia lo avevano cresciuto secondo il credo della loro gente, e la paura non faceva parte di lui più di quanto un fiocco di neve facesse parte del caldo sole che ardeva nel cielo. La neve, si, la neve, Wodanaz tornò a ciò che lo circondava, immense distese innevate a perdita d’occhio. Non poteva sperare di tornare a casa quel giorno e forse neppure quello successivo.“Odino!” gridò, “Odino, padre di tutti gli dei! Mostrami la via!”. Una nuova folata di vento gelido gli penetrò nelle ossa costringendolo a cadere a terra immerso fino alle ginocchia dalla neve. Pregò in silenzio, il sole oramai stava calando e la notte l’avrebbe certamente portato via con sé. D’un tratto, il vento calò, Wodanaz si guardò intorno, la visibilità era scarsa ma un piccolissimo filo nero che saliva in alto nel cielo fu sufficiente a ricaricarlo quel tanto che bastava per farlo rimettere in piedi. Tornò a camminare, lunghi passi pesanti che lo stavano portando lentamente sempre più vicino al fumo nero che saliva lento nel cielo. “Di là c’è il villaggio!”pensò rincuorato, “Threya mi starà certamente aspettando preoccupata”. Ma ciò che vide voltata la grande vallata che separava la sua vista da villaggio non era ciò che si aspettava. Dal punto in cui era poteva vedere tutto: le fiamme divampavano nella gran parte delle capanne del circolo. Donne e bambini che cercavano di fuggire da possenti uomini a cavallo, e gli uomini che caricavano a piedi nudi gli invasori. Cercò di scendere dal punto in cui si trovava, ma la discesa ripida lo avrebbe quasi certamente ucciso prima di arrivare vicino al villaggio. Cercò con gli occhi Threya e la vide mentre scappava da alcuni uomini. Iniziò a correre con tutte le forze che ancora gli restavano in corpo. Girò intorno al passo sul quale si trovava e arrivò al ripido sentiero che lo avrebbe portato giù al villaggio. Cercò tra la folla che si muoveva spaventata, tracce di suo padre o di sua zia ma non ne trovò. Oramai era quasi giunto al villaggio, i suo piedi stanchi lo reggevano a malapena ma sapeva che non poteva fermarsi, ne sarebbe andata della vita della sorella. “Wodanaz!” sentì gridare ilsuo nome, “Threya!” gridò lui, ancora pochi passi e l’avrebbe raggiunta. All’improvviso un uomo in sella ad uno stallone nero superò gli uomini che la inseguivano e arrivò da lei. Wodanaz non poté fare nient’altro che assistere alla scena: l’uomo prendendo la ricorsa con il suo cavallo decapitò Threya. Wodanaz fissò negli occhi lo sguardò della sorella mentre la sua testa rotolava a terra. Gli fu accanto in un’istante, prese tra le mani il viso della bimba, gli chiuse gli occhi dolcemente e pregò per lei. L’uomo sul cavallo osservò divertito la scena, “è andata” disse, “presto le farai compagnia”. Wodanaz fece fede su tutta la sua forza e si scagliò contro l’uomo brandendo il suo pugnale. L’uomo con grande velocità saltò a terra e gli conficcò la sua spada nel ventre. Wodanaz cadde in ginocchio, “non vale la pena decapitarti, con la ferita che ti ho inferto morirai tra poco comunque, tornerò da te tra poco, nel frattempo guarda morire ciò che resta della tua gente giovane vichingo”. L’uomo si allontanò, Wodanaz era ancora in ginocchio e la neve mista alla pioggia cadeva fitta sul suo capo. Attorno a lui la morte camminava fiera e prendeva con sé più persone possibili. Guardò verso il cielo, la notte oramai inoltrata dava all’atmosfera qualcosa di magico. “Odino, padre degli dei, signore di ogni cosa, permettimi di servirti” iniziò, “guarda cosa stanno facendo al mio popolo!” urlò tossendo sangue nero. “Tu apprezzi il valore! Apprezzi la forza di volontà! Allora permettimi di essere il tuo guerriero! Accetta la mia anima e rendimi ciò che sono e per cui sono nato!”. Wodanaz cadde a pancia in su nella neve, “dimostrami che il tuo potere è davvero immenso come dicono!”. Un fulmine squarciò il cielo, alzò la mano, quasi a voler catturare qualcosa. Un secondo fulmine lo colpì in pieno, passando proprio per quella mano tesa, collegamento tra il cielo e la terra, tra Midgard e Asgard. Wodanaz aprì gli occhi, confuso si alzò in piedi, dopo la paura, ora nemmeno il dolore faceva più parte di lui. Osservò ancora per un istante i resti di sua sorella a terra, poi si diresse verso le fucine del villaggio. Lì, tra i resti di armi infrante trovò ciò che stava cercando, un ascia bipenne dall’aspetto imponente. Aveva sempre sognato di poterla impugnare ma non vi era mai riuscito, ora, non sapeva bene neanche lui il perché, sentiva un’irresistibile attrazione per quell’arma tanto distruttiva. Una volta uscito dalla fucina guardò verso il cielo, i fulmini continuavano a saettare verso terra, lo interpretò come il volere di Odino. Poco distante da lui c’era un gruppo di uomini armati che davano fuoco ad una stalla. “Sporchi bastardi!”gridò lui caricandoli, gli uomini non fecero in tempo a reagire e caddero sotto le lame dell’ascia bipenne. Un uomo lo colpì alle spalle, Wodanaz si voltò carico di rabbia. Si trovò di fronte l’assassino di sua sorella. “Come hai fatto a guarire?!” urlò tra un misto di rabbia e paura. “Il volere degli dei è con me questa notte!” urlò lui fiondandosi sull’uomo. L’uomo dopo alcuni colpi arrancò, sembrava non riuscire in alcun modo a tenere testa a quel ragazzo che pochi minuti prima aveva sconfitto con tanta facilità. “Non può esistere un uomo come te!” urlò il guerriero ora in preda alla paura. “Non mi interessa cosa pensi!” urlò con voce tonante Wodanaz, “mi interessa solo come morirai” disse abbassando il tono verso un livello più oscuro e profondo. L’uomo si ribellò e tornò all’attacco, Wodanaz schivò tutti i suoi attacchi e gli tranciò di netto il braccio destro. Il guerriero urlò di dolore e tornò alla carica, forse in un attacco suicida. Lui non si scompose, arretrò velocemente e conficcò l’ascia nel torace del nemico. Gli occhi carichi di terrore del suo avversario erano fissi su di lui, “non credo che ti verrà consentito l’accesso al Valhalla questa notte” disse staccando l’ascia dal petto e facendola roteare sopra le sue braccia. Guardò per un ultima volta il voltò di quell’uomo, poi, con grande possanza, abbatté l’ascia sul suo capo. La testa rotolò via dal corpo senza vita, Wodanaz finalmente respirò, respiri lunghi e carichi di ansia. Ora che la battaglia era finita riusciva a percepire in modo più chiaro i sensi acuiti che ora facevano parte di lui. Intorno gli si erano radunati alcuni superstiti dell’attacco che ora lo guardavano con reverenza e paura. “Gloria a te giovane Wodanaz” disse un vecchio avvicinandoglisi, “con te sono tutti gli dei”. “Il loro volere a fatto si che sopravvivessimo!” continuò il vecchio, “quest’oggi davanti a tutti voi abbiamo un segno della potenza di Odino!”. “Gloria al guerriero più forte, gloria a Berserk!”. Si guardò intorno, tutto sembrava nuovo e pericoloso, non sentiva né paura né dolore, eppure, sotto l’armatura invisibile che oramai faceva parte di lui, sentiva un energia nuova, un energia forte e pericolosa, una sensazione che mai più se ne sarebbe andata. Prese tra le braccia il corpo della sorella con estrema facilità, salì il colle da cui era venuto e appoggiò il corpo della fanciulla a terra. Sopra di esso costruì un tumulo, chiuse gli occhi e ripensò al volto della madre, un volto che era certo, doveva essere stato somigliante a quello della sorella. Si alzò in piedi, tutti i suoi possenti muscoli si tesero, un grido forte uscì dalla sua bocca, alzò sopra di sé l’ascia bipenne, quella notte sarebbe stata la notte che mai più avrebbe dimenticato.

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